ott 222014
 

Inaugurazione :   10 novembre 2014 – ore 18,30

dal 10 al 28 novembre

A cura di :  Irene Ranzato

Testi in catalogo di :  Serafino Amato, Lisetta Carmi, Beppe Lo Russo, Alessandro Sagramora

 

2° Sede : Monty & Company art studio, Via della Madonna dei Monti 69 – Roma

inaugurazione:13 novembre 2014 ore 18,30 – <artstudio@montyecompany.com>

 

Carparelli sett 2014

 Andamane, Lacrimazione cerimoniale, cm28x38, 2005

  In diagonale, cm16x26, 2009

 

40 tempere cm 20×30 e un arazzo, cm 300 x270

Doppia personale a Roma di Alberto Vannetti per presentare la sua nuova serie di tempere ad AOC e la serie inedita a Roma degli arazzi alla galleria Monty & C.

La serie delle tempere su carta iniziata circa 15 anni fa ha un filo narrativo che attraversa la storia, il mito, la tecnologia, la contemporaneità e gli stati d’animo che negli anni si sono succeduti, accumulati, ridisegnati, in una sorta di diario antivirtuale che tenta di ritrovare nel profondo del pensiero quell’equilibrio formale, estetico e dialettico oggi sacrificato sull’altare del minimalismo forzato e vuoto.

Gli Arazzi/stendardo che affiancano le tempere ingrandiscono e conclamano questa disposizione culturale sono gli ultimi nati di un lavoro di Arte Pubblica che ha proposto a partire dal 1994 Stendardi, tazebao e arazzi sui generis in cui la manualità e i significati si intrecciano ritrovando tutti quegli aspetti di un arte tattile che potrebbe essere definita neodeco.

…“In questo sogno da sveglio l’artista sembra trovare il modo di riannodare i fili anche con una storia dell’arte a lui particolarmente vicina; ovvero quella tradizione orientalista di tanta pittura europea di fine Ottocento e che ha plasmato il nostro modo di guardare l’Oriente e di fantasticare su di esso.” (A.Sagramora)

“…l’artista è consapevole di lavorare con una materia comunque compromessa, una realtà gravida di tutti i significati che dagli albori della civiltà non hanno mai smesso di descrivere il mondo, il divino e l’umano, sottraendo il racconto alla sua dimensione eventuale, storica della verità e del sapere. Da qui, io credo, proceda la scelta di Alberto di frequentare il mito, quello classico, popolato di divinità, eroi e cosmogonie leggendarie, non limitandosi al solo piacere della citazione e del riconoscimento, ma assumendolo come documento evocativo di rappresentazioni, metafore del reale, per le quali altre cose s’intendono.

Nell’allestimento dell’artista, un inventario di segni astrologici, divinità olimpiche, punti cardinali, simbologie araldiche, fantastiche e guerriere, misurano per noi la distanza, in tempo e spazio, da questa mitografia che altro non è che la misura del sapere, fissato nella durata della sua permanenza come rappresentazione di altre rappresentazioni e così ad infinitum.

 “Ecco allora Alberto farsi mitografo, adoperandosi a disporre, sullo sfondo di orizzonti immaginari, soli infuocati e anfore, cavalieri berberi, un arciere nudo, un isolato pellegrino, per investirli, conformarli in un suo personale universo mitologico. In questa realtà idealizzata trasmutano luoghi, personaggi, avvenimenti epocali, fiori e vecchie carte geografiche, che l’artista colloca in un paesaggio metafisico, reso da un geometrico e lucido rigore di forme, di linee e colori. Una mitologia individuale, dunque, in cui, come per l’altra più antica del racconto collettivo dei miti della classicità, non è richiesta allo spettatore alcuna ragione di credere, ma solo curiosità e soggezione, per quanto lontano possa arrivare la sollecitazione di un’arte rammemorante.” (B. Lo Russo)