dic 042014
 

inaugurazione 4 dicembre 2014 ore 18,30

4 dicembre / 8 gennaio 2015

Albanian sworn virgins

 

Il progetto fotografico, in progress dal 2011, viene esposto presso lo spazio di via Flaminia – dopo la mostra tenutasi presso la libreria Einaudi di Roma nel 2012 – con nuove stampe e approfondimenti. Paola Favoino, prima con un approccio antropologico poi concentrandosi sul racconto fotografico, si è addentrata nello specifico spaccato sociale dell’Albania del nord, documentando con delicato trasporto una figura radicata e riconosciuta dalla società albanese: la burrneshe.

Nell’Albania del nord, un ristretto gruppo di donne – per motivazioni diversificate – all’interno della propria famiglia, viene investito del ruolo di “capo famiglia”, assumendosi le responsabilità morali e pratiche dell’“uomo di casa”. Una trasposizione che converge anche nel lato fisico, con un corpo che si fa carico di un cambiamento esteriore estremizzandolo. La burrneshe indossa il suo “abito”, fatto di carne e di codici morali, indistintamente all’interno del nucleo familiare e di fronte alla comunità albanese; riconosciuta da entrambe porta avanti un ruolo ineluttabilmente senza ritorno.

 

Dietro all’intimo racconto con cui Paola Favoino narra di alcune di queste donne che vivono come uomini  emerge un substrato che viene sussurrato, tagliente e penetrante; un legame indissolubile che annoda un’immagine all’altra: la presenza, tra le righe, di un riferimento al Kanun – antico codice di leggi consuetudinarie trasmesso oralmente in Albania da secoli – che dà materia al racconto fotografico e lo rende ricco di mistero e fascinazione.

Ma ciò che emerge da “Albanian sworn virgins” non è la rappresentazione di ruoli sociali e classificazioni di genere, ma l’equilibrato insieme di una macro-storia di un territorio con i propri “codici” e le micro-storie individuali di queste persone che incarnano “Altro”: non donne, non uomini, ma come scrive Paola Favoino “un altro universalmente riconosciuto e accettato, con le sue regole e le sue consuetudini”.

Francesca Orsi

 

 

 

 

ott 222014
 

Inaugurazione :   10 novembre 2014 – ore 18,30

dal 10 al 28 novembre

A cura di :  Irene Ranzato

Testi in catalogo di :  Serafino Amato, Lisetta Carmi, Beppe Lo Russo, Alessandro Sagramora

 

2° Sede : Monty & Company art studio, Via della Madonna dei Monti 69 – Roma

inaugurazione:13 novembre 2014 ore 18,30 – <artstudio@montyecompany.com>

 

Carparelli sett 2014

 Andamane, Lacrimazione cerimoniale, cm28x38, 2005

  In diagonale, cm16x26, 2009

 

40 tempere cm 20×30 e un arazzo, cm 300 x270

Doppia personale a Roma di Alberto Vannetti per presentare la sua nuova serie di tempere ad AOC e la serie inedita a Roma degli arazzi alla galleria Monty & C.

La serie delle tempere su carta iniziata circa 15 anni fa ha un filo narrativo che attraversa la storia, il mito, la tecnologia, la contemporaneità e gli stati d’animo che negli anni si sono succeduti, accumulati, ridisegnati, in una sorta di diario antivirtuale che tenta di ritrovare nel profondo del pensiero quell’equilibrio formale, estetico e dialettico oggi sacrificato sull’altare del minimalismo forzato e vuoto.

Gli Arazzi/stendardo che affiancano le tempere ingrandiscono e conclamano questa disposizione culturale sono gli ultimi nati di un lavoro di Arte Pubblica che ha proposto a partire dal 1994 Stendardi, tazebao e arazzi sui generis in cui la manualità e i significati si intrecciano ritrovando tutti quegli aspetti di un arte tattile che potrebbe essere definita neodeco.

…“In questo sogno da sveglio l’artista sembra trovare il modo di riannodare i fili anche con una storia dell’arte a lui particolarmente vicina; ovvero quella tradizione orientalista di tanta pittura europea di fine Ottocento e che ha plasmato il nostro modo di guardare l’Oriente e di fantasticare su di esso.” (A.Sagramora)

“…l’artista è consapevole di lavorare con una materia comunque compromessa, una realtà gravida di tutti i significati che dagli albori della civiltà non hanno mai smesso di descrivere il mondo, il divino e l’umano, sottraendo il racconto alla sua dimensione eventuale, storica della verità e del sapere. Da qui, io credo, proceda la scelta di Alberto di frequentare il mito, quello classico, popolato di divinità, eroi e cosmogonie leggendarie, non limitandosi al solo piacere della citazione e del riconoscimento, ma assumendolo come documento evocativo di rappresentazioni, metafore del reale, per le quali altre cose s’intendono.

Nell’allestimento dell’artista, un inventario di segni astrologici, divinità olimpiche, punti cardinali, simbologie araldiche, fantastiche e guerriere, misurano per noi la distanza, in tempo e spazio, da questa mitografia che altro non è che la misura del sapere, fissato nella durata della sua permanenza come rappresentazione di altre rappresentazioni e così ad infinitum.

 “Ecco allora Alberto farsi mitografo, adoperandosi a disporre, sullo sfondo di orizzonti immaginari, soli infuocati e anfore, cavalieri berberi, un arciere nudo, un isolato pellegrino, per investirli, conformarli in un suo personale universo mitologico. In questa realtà idealizzata trasmutano luoghi, personaggi, avvenimenti epocali, fiori e vecchie carte geografiche, che l’artista colloca in un paesaggio metafisico, reso da un geometrico e lucido rigore di forme, di linee e colori. Una mitologia individuale, dunque, in cui, come per l’altra più antica del racconto collettivo dei miti della classicità, non è richiesta allo spettatore alcuna ragione di credere, ma solo curiosità e soggezione, per quanto lontano possa arrivare la sollecitazione di un’arte rammemorante.” (B. Lo Russo)