feb 242017
 

dal 6 al 24 marzo 2017

A cura di    Diletta Borromeo

 

UN’APPARENTE SEMPLICITÀ traspare dalle opere di Roberto De Simone. Con apparente semplicità egli si propone di Cerchiare l’infinito, un’impresa impossibile tentata con l’ausilio di fuochi d’artificio diffusi in un cielo notturno. Attraverso il video dell’azione (1993, VHS PAL trasferito su DVD nel 2007) De Simone esplicita un paradosso non privo di ironia e, al tempo stesso, la potenziale realizzazione di un’avventura che solo l’immaginazione può intraprendere. Fulcro del lavoro è una visione mentale che – spiega l’artista – “tenta di spogliare le coscienze soddisfatte delle loro formule cristallizzate e definite dalle leggi del senso comune”. Nella costruzione delle sue opere procede secondo un metodo razionale, espresso nei progetti, ma finisce per ribaltarlo nell’esito finale, dimostrando che è possibile pensare l’impensabile pur muovendo da conoscenze tecniche. Il titolo e la descrizione, redatti con parole meditate e scelte accuratamente, sono parte essenziale dell’opera, “un elemento fondamentale; il titolo è l’idea, il progetto”. E poiché egli sostiene che “il valore del lavoro è nell’idea, non nell’oggetto”, l’immagine e il titolo rimandano ad un’altra immagine corrispondente alla finalità del lavoro stesso, che si realizza attraverso l’adozione, richiesta anche allo spettatore, di un atteggiamento libero e anticonformista, con una vena di poesia e di leggera ironia. “Il vero artista crea una perturbazione collettiva delle coscienze per ricostruire la comprensione del reale in relazione con il mondo”. De Simone pone questioni, alla ricerca di un nuovo senso, dove la necessità della sospensione o dell’attesa di ciò che potenzialmente può compiersi, nello spazio e nel tempo, lascia aperti gli interrogativi. Centrale è l’intento di attivare una comunicazione con il pubblico. “Mi propongo sempre di innescare una riflessione che mi ha coinvolto per primo, e che spero interessi altri”. Parte di queste riflessioni è il tentativo di recupero della natura, intesa come cardine dell’esistenza e fonte primaria dell’energia, in cui l’artista concilia due apparenti antitesi: le proprie conoscenze scientifiche guidate dalle leggi della fisica e l’immaginazione prodotta dalla tensione verso l’invisibile. “La natura visibile è modellata sull’invisibile e a me interessa la natura in quanto spazio fisico in continuo divenire. Cerco di cogliere, di costruire delle relazioni con i fenomeni naturali soggetti alla temporalità, al mutamento da uno stato all’altro, di captare le forze e renderle visibili”. Cerchiare l’infinito comprende due progetti e alcune immagini estratte dal video, stampate su carta fotografica ed esposte nel 2007 insieme al filmato stesso.

Trait d’union fra i lavori in questa mostra è l’invito a produrre un paesaggio mentale, attivato grazie alle immagini in Cerchiare l’infinito, suscitato dai suoni in Il primo raggio di sole a Étretat con un grande vento calmo (2007). Quest’ultimo è un “ricordo sonoro” dell’artista legato a un luogo preciso, sulle falesie della Normandia. Si raccomanda di ascoltare la registrazione con le cuffie, a occhi chiusi, lasciando che il suono suggerisca colori, odori, luci e atmosfere, il senso dello spazio, “per avere un’immagine intima del paesaggio che si sta ascoltando. La realtà non è solo in sé, ma è qualcosa che si origina nell’atto stesso della percezione”.

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Roberto De Simone (1954-2012) è nato e vissuto a Roma. Mentre si avvicina all’arte, studia Filosofia e Chimica inorganica. Sul finire degli anni settanta incontra Ettore Innocente ed Emilio Villa, con cui inizia un duraturo rapporto di stima e amicizia. Nello stesso periodo abbandona la ricerca sul segno pittorico e impronta il proprio fare artistico sul concetto di situazione. Da questo momento le letture filosofiche, le esperienze di vita, le domande sull’esistenza e sull’arte diventano elementi essenziali per comprendere la sua opera. A partire dagli anni ottanta la tecnologia e l’uso del linguaggio, talvolta sottilmente ironico, acquistano una sempre maggior rilevanza. L’amore per la vita e la natura, così come la fiducia nella scienza e nella tecnica svolgono un ruolo centrale nella sperimentazione, aperta alla realizzazione di performance e di lavori effimeri o incentrati su eventi possibili, talvolta non verificabili. Esemplare, nell’ambito della sua ricerca, è il lavoro I’ll do my best to paint the winds green in the Greenwich Park (1983) dove l’artista, grazie a un fumogeno collocato sulla cima di un’asta, per un breve lasso di tempo colora i venti di verde compiendo l’unione tra l’energia creativa dell’uomo e quella della natura.

Roberto De Simone ha esposto in spazi pubblici e privati, in Italia e all’estero. Fra questi London Video Arts, Londra (1983), Old Royal Observatory, Greenwich Park, Londra (1983), Ex Borsa in Campo Boario, Roma (1988), MLAC Museo Laboratorio d’Arte Contemporanea dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (1991), Studio Bocchi, Roma (1991 e 1995), Wiener Secession, Vienna (1993), Villa dei Quintili, Roma (2007), Galleria Horti Lamiani-Bettivò, Roma (2007), Evolution de l’Art Gallery, Bratislava (2007), Museo di Chimica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (2009), Ippodromo di Capannelle, Roma (2010).

 

Recentemente, il suo lavoro è stato presentato nell’esposizione personale “Per dipingere i venti, per disegnare dal vero”, Colli independent art gallery, Roma (15 gennaio – 21 febbraio 2016) e nella antologica “FFFFFFFFFFFFFFF”, Palazzo Lucarini, Trevi (19 marzo – 8 maggio 2016).

In occasione della mostra alla Colli independent art gallery è stato pubblicato il volume a cura di Céline Brothier, Emanuele De Donno, Myriam Laplante, Roberto De Simone. I’ll do my best to paint the winds green, viaindustriae publishing, 2016.

 

AN APPARENT SIMPLICITY shines through the works of Roberto De Simone. With an apparent simplicity he resolves to Circle the Infinity, an impossible challenge attempted with the help of fireworks in a nocturnal sky. Through the video of the action (1993, VHS PAL transferred on DVD in 2007) De Simone expresses a paradox, not devoid of irony, and at the same time the potential realisation of an adventure that only the imagination can undertake. The cornerstone of this work is a mental vision that “tries to strip the satisfied consciences of their crystallized formulas, defined by the laws of common sense” – as the artist himself explains it. In constructing his works, the artist proceeds according to a rational method, expressed in the projects but overturned in the final outcome, as a demonstration that it is possible to think the unthinkable while still acting by means of technical knowledge. The title and description have been drawn up with thought-out words carefully chosen, because they are an essential part of the work – “a key element; the title is the idea, the project.” And since he claims that “the value of labour is in the idea, not the object”, the picture and title refer to another image corresponding to the purpose of the work itself, which is realised through the adoption, required of the viewer as well, of a free and nonconformist attitude, with a poetic and slightly ironic flair. “A true artist creates a collective disturbance of consciences in order to rebuild an understanding of reality in relation to the world”. De Simone highlights issues and looks for a new meaning, where the need for suspension or expectation of what could potentially be accomplished in space and time, leaves the questions open. The intent to activate a communication with the audience is key. “I always resolve to trigger a discussion that captivated me first, and that I hope others will find interesting”. Part of these reflections is the attempt to restore nature as the cornerstone of existence and primary source of energy, in which the artist combines two apparent antithesis: the scientific knowledge guided by the laws of physics and the imagination generated by a tension towards the invisible. “The visible nature is modelled on the invisible and I’m interested in nature as an ever-changing physical space. I try to seize, to build relationships with the natural phenomena subject to temporality, subject to change from one state to another, and to capture the forces and make them visible”. Circle the Infinity includes two projects and some images extracted from the video, printed on photographic paper and first exhibited with the film in 2007.

The liaison among the works in this exhibition is the invitation to produce a mental landscape, triggered by the images of Circle the Infinity, and evoked by the sounds of The First Ray of Sunshine in Étretat with a Great Calm Wind (2007). The latter is a “sound memory” of the artist linked to a specific location on the cliffs of Normandy. It is recommended to listen to the recording with headphones on and eyes closed, letting the sound suggest colours, smells, lights and atmospheres, the sense of space, “to have an intimate image of the landscape that is being listened to. The reality is not only in itself, but it is something that originates in the very act of perception”.

Diletta Borromeo

 

Roberto De Simone (1954-2012) was born and lived in Rome. While starting his first experiences in art, he studied Philosophy and Inorganic Chemistry. At the end of the seventies he met Ettore Innocente and Emilio Villa, with whom he started a lasting relationship of respect and friendship. At the same time he abandoned his search for a pictorial sign and imprinted his art with the concept of situation. From this moment his philosophical readings, life experiences and questions about existence and art became essential elements to understand his work. Since the eighties, technology and the use of – sometimes subtly ironic – language grew in importance. His love for life and nature, as well as his trust in science and technology, played a central role in his experimentations, which were open to the realisation of performances and ephemeral works or focused on possible, sometimes unverifiable events. Exemplary, as part of his research, is the work I’ll Do My Best to Paint the Green Winds in the Greenwich Park (1983), where the artist, thanks to a smoke bomb placed on top of a pole, coloured the wind of green for a short time, combining the creative energies of man and nature.

Roberto De Simone exhibited his works in public and private spaces in Italy and abroad, among which: the London Video Arts, London (1983), the Old Royal Observatory, Greenwich Park, London (1983), the Former Stock Exchange in Campo Boario, Rome (1988), the MLAC Laboratory Museum of Contemporary Art, University of Rome “La Sapienza” (1991), Studio Bocchi, Rome (1991 and 1995), Wiener Secession, Vienna (1993), Villa dei Quintili, Rome (2007), the Horti Lamiani-Bettivò Gallery, Rome (2007), Evolution de l’Art Gallery, Bratislava (2007), Museum of Chemistry, University of Rome “La Sapienza” (2009), Ippodromo Capannelle, Rome (2010).

 

Recently, his works were displayed at the Colli Independent Art Gallery, Rome, in the personal exhibition To Paint the Wind, to Draw Reality (15 January-21 February 2016) and at Palazzo Lucarini, Trevi, in the anthological exhibition “FFFFFFFFFFFFFFF” (19 March-8 May 2016).

A book on his work by Céline Brothier, Emanuele De Donno and Myriam Laplante, Roberto De Simone. I’ll Do My Best to Paint the Green Winds (VIAINDUSTRIAE publishing, 2016) was also presented at the Colli Independent Art Gallery in January 2016.

gen 252017
 

6/ 22 febbraio 2017

DISSOLVENZE è una mostra che affronta temi esistenziali come la ricerca di se stessi, oggi resa ancor più contemporanea dalla frammentazione tra vita reale ed esistenza in rete, e il tentativo di rapporto con gli altri, che diventa ricerca di un contatto con un altro sempre più irraggiungibile, virtuale ed inconsistente. Queste ricerche mettono in evidenza la grande incomunicabilità e assenza e solitudine tra le persone, proprio nell’epoca in cui la quotidianità è dominata dalla comunicazione di massa.

Le tre artiste– Valentina Colella (Sulmona, 1984), Perla Sardella (Jesi, 1991), Bianca Senigalliesi (Senigallia, 1990) – si esprimono infatti attraverso i più attuali mezzi di comunicazione, trasformando video, social network, internet in un linguaggio artistico estremamente in linea con la contemporaneità dei contenuti. Il confronto con se stessi e con gli altri diventa nelle loro opere confusione tra figura reale e vita virtuale, un tema affrontato dalle tre artiste in modo diverso ma tutte attraverso la multidisciplinarietà, con una matura capacità, nonostante la giovanissima età, di mescolare in modo sperimentale linguaggi diversi– video, cinema, danza, performance, social network – per esprimere la loro visione.

L’opera di Valentina Colella 29 Station of the cross è la visualizzazione di una performance realizzata in rete che nasce da una perdita, un lutto molto grave di cui la notizia è arrivata attraverso facebook, nella quale l’artista, in ventinove tappe successive, fa scomparire la propria immagine dal web per riprendere contatto con se stessa e con la natura reale, tracciando sul proprio corpo le coordinate gps del percorso che la separa dal luogo fisico della tragedia; elementi della realtà che si astraggono in numero, ma anche un riferimento al volo, immagine che google frappone casualmente tra lei e la ricerca dell’ultimo luogo abitato da chi ha perso. Le tappe del volo, così trasformato in sofferta via crucis di interiorizzazione del dolore, si fermano a 29, numero ricorrente per l’artista, ad un passo dal 30, composto dalle due cifre perfette 3 e 0, a sottolineare che nell’opera, come nella sua vita, ci sarà sempre una parte mancante. Lo schermo del computer che riporta l’immagine dell’artista che man mano si dissolve è stata stampata su carta fotografica e va a disegnare una linea d’orizzonte che nella composizione non sa rinunciare alla verticalità del foglio, per avere la possibilità di guardare sempre in alto. L’opera è stata esposta nella mostra Gestures-Body Art Stories a cura di Valerio Dehò al Kaohsiung Museum of Fine Arts di Taiwan.

Comfort zone di Perla Sardella è un film documentario (13’29’’, HD, colore, stereo, con Sona Hovhannisyan e Hafid F., musiche di Carlo Maria Amadio) che racconta una situazione surreale, virtuale e reale nello stesso momento: un viaggio in una città sconosciuta, Dubai, basato sugli scatti autentici del giovane Hafid, che, dopo aver rubato un telefono cellulare, ha dimenticato di disattivare l’autosincronizzazione delle foto, permettendo alla legittima proprietaria di vedere sul proprio computer le immagini che Hafid raccoglieva. Le foto sono state pubblicate dalla derubata in un blog www.lifeofastrangerwhostolemyphone.tumblr.com alla ricerca di un contatto reale con il nuovo proprietario. La storia, raccolta in rete, su un social network, è diventata un’occasione per l’artista per riflettere sulla separazione tra lo spazio reale e quello digitale e la loro connessione con l’essere umano e sulla perdita di consistenza dei rapporti con l’altro. Comfort Zone è stato presentato nella sezione Italiana.corti della 33esima edizione del Torino Film Festival.

 

Woman in cam (video low-fi, 2015, durata 6’18’’) di Bianca Senigalliesi è un’improvvisazione di danza realizzata davanti alla webcam del computer, strumento a cui l’artista è legata attraverso delle cuffie, elemento ambivalente di isolamento o di contatto con il mondo esterno che si trova in rete. La danza, muta, alterna movimenti di autocompiacimento del proprio corpo a gesti che mostrano una femminilità alla ricerca della propria affermazione con un altro al di là dello schermo. Il video fa emergere tutta la complessità dell’essere donna, un essere composto di moti interiori dell’animo e gesti esteriori, che si confronta con lo schermo: muro protettivo ma anche medium di comunicazione con un altro di cui non si conosce la consistenza. L’opera rimanda a tutta la fragilità insita nella quotidianità dell’essere umano che si confronta con un mondo spesso solo immaginato e immaginario. L’opera è stata selezionata ed esposta tra le finaliste del Premio Nori de’ Nobili dal Museo Nori de’ Nobili di Trecastelli.

 

La mostra DISSOLVENZE è stata precedentemente esposta a Jesi lo scorso giugno per lo spazio USB Gallery, una home gallery che come la porta usb dei nostri strumenti elettronici, attraverso cui oggi passano tutti i nostri pensieri, in maniera indipendente serve da collegamento tra le tante esperienze e riflessioni che attraversano l’arte.

 

Annalisa Filonzi

 

Valentina Colella (1984, Sulmona) è una giovane artista italiana. I suoi lavori si occupano della relazione tra la realtà, il corpo e il mondo digitale, usando immagini dal web, foto, video e installazioni come mezzi espressivi. Nel 2013 nella mostra  WhiteOut, Hundred Years Gallery, Londra, comincia a sviluppare l’immagine di un volo estrapolato da Google Maps, indagine che si sviluppa in diverse tappe, nel 2014, con la mostra Attese Impossibili curata da Vittoria Biasi, Centro di Documentazione della Ricerca Artistica Contemporanea Luigi Di Sarro, Roma; nel 2014 partecipa alla BienaALfinDelMundo, Mar Del Plata, Argentina.
Nel 2015 il volo, tratto da una performance avvenuta su Facebook, e documentato con stampe, fa parte della mostra 2015 Gestures-Body Art Stories-Marina Abramović & The Others, a cura di Valerio Dehò, Kaohsiung Museum of Fine Arts, Taiwan. Nel 2016 con “… e poi accadde il bianco!” a cura di Vittoria Biasi, si conclude un ciclo importante del progetto esposto presso l’Istituto Italiano di Cultura Colonia, Germania; il Museo Laboratorio Ex Manifattura Tabacchi, Città Sant’Angelo (Pe); il Museo Regionale dell’Emigrante, Introdacqua  (Aq). Con il progetto Learning, Valentina viene selezionata per la residenza 2016 / 2017 ARP  Art Residency Project, Cape Town, Sud Africa.

www.valentinacollella.com

 

Perla Sardella nasce a Jesi, nelle Marche, nel 1991. Si trasferisce poi a Milano dove completa gli studi alla Nuova Accademia di Belle Arti, conseguendo la laurea nel 2015 in Media Design e Arti Multimediali. Presenta una tesi sull’autoreferenza nel cinema documentario e il suo cortometraggio di diploma, Comfort Zone, viene presentato alla 33esima edizione del Torino Film Festival, nella sezione Italiana.corti. Attualmente vive e lavora tra Marche e Lombardia, come filmmaker freelance.

 

Bianca Senigalliesi è nata nel 1990, a Senigallia. Inizia a ballare all’età di 7 anni, cimentandosi soprattutto nella tecnica modern presso varie scuole della provincia di Ancona e Pesaro. Dopo qualche anno, il desiderio di portare il proprio corpo all’evoluzione del plasmarsi la porta a ricercare la tecnica classica, che diventa presto il suo abito naturale. Senza mai abbandonare la danza moderna, frequenta dei corsi di perfezionamento presso “Salus et Gratia” di Ancona, “Accademia Internazionale Coreutica” e “Centro Internazionale Danza e Spettacolo Opus Ballet” di Firenze.

Partecipa a vari concorsi: Concorso Nazionale di Caserta 2006, Danza in Fiera Firenze 2007, Rimini Wellness 2007, Concorso Expression I.D.A., nel quale vince il Premio Speciale della Giuria con un passo a due di danza contemporanea.

Si classifica tra le prime quattro concorrenti all’esame d’ammissione all’ “Accademia Nazionale di Danza” di Roma. L’incontro con Massimo Perugini, la conduce verso l’amore per la tecnica contemporanea, che la spinge verso nuove città italiane per conoscere maestri europei ed americani. Il suo percorso nella danza è stata la continua ricerca di identità nella qualità del proprio movimento, che ha lottato costantemente con un’impossibile conquista della perfezione. Il dolore dell’allontanamento dal Balletto classico fa sì che Bianca, in età più matura, si avvicini al sentire il bisogno di qualcosa di Suo, di perdonare il proprio corpo ed il proprio movimento. Il mondo delle video-performance danzanti su youtube le fa conoscere Emma Portner: “non pensavo fosse possibile che una cosa così desse piacere agli occhi”.