mar 032015
 

Una selezione di immagini, tratte dalla documentazione dell’attività dei medici volontari di Interethnos Interplast Italy Onlus presso il Dhaka Medical College in Bangladesh (10 – 11 gennaio 2015) http://www.3ionlus.org/.

Le fotografie che Anna Benedetto ha scelto per la mostra alla Galleria Bruno Lisi-AOCF 58 non riportano a un resoconto di carattere tecnico e neppure al racconto di esperienze traumatiche  ma evocano piuttosto una situazione umana, caratterizzata da una diffusa presenza emotiva.  L’ospedale di Dhaka è ripreso da uno sguardo autoriale apparentemente sommesso; un meditato distacco che significa rispetto per la sofferenza dei pazienti e per il lavoro dei medici. L’informazione arriva a chi guarda senza impregnarsi di stereotipi e senza riferimenti estetizzanti, portando l’attenzione sull’atmosfera dell’attesa.  L’attesa in corsia, nei corridoi, nei volti, nei corpi e nelle posture, nelle luci e nelle penombre; figure immerse nella dimensione di un tempo sospeso in cui, anche quando si sta insieme, domina la solitudine.

 Samaya infatti vuol dire tempo, quello dei medici in missione, quello (brevissimo) del team del reportage e quello delle attese dei pazienti. Il sottotitolo, Camera d’attesa, gioca sulla doppia valenza del termine “camera” che può essere la fotocamera con la quale sono stati fissati questi momenti oppure lo spazio fisico di attesa in cui  situazioni e persone si avvicendano.

Con queste valenze il lavoro fotografico di Anna Benedetto sollecita una riflessione sulle pratiche del reportage fotografico e attraverso di esso, sull’ontologia stessa dell’immagine fotografica. Che significa oggi reportage? Che rapporto intrattiene la fotografia da un lato con la documentazione dall’altro con la spettacolarizzazione? E soprattutto in che misura veicola gli elementi di una condizione emotiva e privata? Il reportage è un serbatoio di informazioni o il motore di metafore e simboli? In quali modi e misure documento e bellezza possono interagire senza elidersi a vicenda?

 

Anna Benedetto, nata a Taranto nel 1979, laurea specialistica in “Cinema, Teatro e Produzione Multimediale”.
Vive a Roma, dove dal 2011 è socia, fotografa e formatrice all’interno del team di 6PM STUDIO (http://6pmstudio.com/).
Ha all’attivo diverse pubblicazioni per magazine, quotidiani e case editrici a tiratura nazionale.
Ha partecipato a varie collettive e questa è la sua prima mostra personale.

mar 022015
 

dal 9 al 27 marzo 2015

Inaugurazione :  9 marzo – ore 18.00

al lunedì al venerdì ore 17.00 –19.30 (chiuso sabato e festivi)

“Poco prima del caffè” di Jonathan Soverchia è un video sul tempo che si avvolge su se stesso. Nasce da una riflessione fatta in sala di montaggio sulla relatività del tempo, che l’uso della tecnologia contribuisce a sfasare ulteriormente, facendone saltare tutte le convenzioni. L’orologio diventa così l’oggetto simbolico che attiva lo straniamento, la ricerca dello straordinario nell’ordinario della vita quotidiana.

Il surreale è infatti per Soverchia una poetica che da sempre lo affascina, da quando ai tempi della scuola veniva stimolato a tirar fuori la poesia da ogni sua esperienza. È attivare l’immaginazione, non spiegare per forza tutto, come nel video proposto in mostra, in cui i due personaggi forse esistono forse no, e non c’è un inizio univoco né una fine… ognuno può ricostruire l’accaduto secondo la propria esperienza, secondo il proprio ricordo.

Nei video di Jonathan Soverchia non c’è solo una storia, con un meccanismo narrativo regolare, né solo un’idea, un concetto: c’è la storia di un’idea che perde, attraverso la distanza polverosa delle immagini, la definizione rettilinea del tempo per esprimere un percorso emotivo che l’autore ha dentro, comunicare un’atmosfera.

Il gioco dello straniamento però non è un gioco serio: molta ironia si concentra sulla fisionomia dei volti, persone reali e non personaggi, decontestualizzati dai loro ruoli quotidiani, e deformati anche dalla scelta del grandangolo che ne distorce la normale visione.

Dal punto di vista tecnico, poco spazio è riservato alla rielaborazione. La poesia nasce già in fase di progettazione, con una sceneggiatura quasi totalmente affidata allo storyboard, tenendo conto sia dei cromatismi che dei suoni, in presa diretta, e affidando alla postproduzione solo il montaggio.

Il cortometraggio, della durata di 9.30 minuti, è stato proiettato al Fano International Film Festival 2013 dove ha vinto il primo premio nella Sezione Autori Marchigiani; è risultato terzo classificato al Bonsai Film Festival 2014 di Acqualagna (PU) e ha vinto il premio per la Miglior fotografia al Fabriano Film Fest 2014.

 Annalisa Filonzi

 

Crediti:

Jonathan Soverchia la regia, soggetto, sceneggiatura, montaggio, post produzione

Alessia Raccichini, Jacopo Mancini gli attori

Michele Magliola, la fotografia

Elisabetta Pierangeli, la scenografia

Luca Barchiesi, il suono

Andrea Montali, la musica