STORIE DI VASI E TERRECOTTE – Opere dal 1976 al 1983

 

                             

UN VASO È GIÀ SCULTURA

Dalla esclusione di qualsivoglia atteggiamento di avanguardia, dalla libera frammentarietà dei riferimenti storici e stilistici, dalla costruttività della creta, terracotta e ceramica, nasce il grande fascino dell’opera di Enzo Rosato. I vasi sono vasi, le cornici sono cornici, le porzioni di statua sono porzioni di statua, le decorazioni sono decorazioni.

Questi oggetti si candidano cosi, spontaneamente, ad essere reperti fra i reperti, in una descrizione archeologica della realtà materiale, nel predominare dei codici della manualità: che e la prima forma di continuità con il passato, che è, qui più che mai, creatività rispettosa delle regole e dei termini, imitazione e ripetizione cosciente di gesti antichi carichi di senso.

Viene da queste opere un invito alla descrizione intrinseca, senza particolari interpretazioni o rinvii ad altri discorsi più nascosti; senza allegorie. Viene voglia di guardarle, e di toccarle soprattutto, nella loro splendente esteriorità, quotidiane, consolanti, di tutti, come appena rilevate da un magazzino di scavo e accostate su un tavolo in una prima, presunta, serie tipologica, quando ancora non interessa stabilire (per il momento magico della scoperta e il disinteresse profondo della scienza) se siano esse «statue» oppure «cocci». E, in questa voluta ambiguità, in questo attimo che raccoglie un tempo di secoli, in questa condizione “bifronte”, essere già Scultura.

E un modo tollerante, questo, di essere innovatori, che non parte da visioni apocalittiche, utopiche o puriste, ma tiene d’occhio lo stato delle cose esistenti, ne mette in dubbio lo spessore culturale e la tenuta storica, altre ancora ne aggiunge, di proprie, cariche di codici e pesanti di materia: a moltiplicare Ìe fratture della storia delle idee, a cercare possibili fratelli.

“… Lo stile realistico e facile da malmenare. Lo si può malmenare per la fretta, per incoscienza o per l’incapacità di superare l’abisso che sta fra quello che lo scrittore vorrebbe dire e quel che realrnente sa dire. E uno stile facile da tradire…, (R. ChandlerJ.

Enzo Rosato ha un grande senso della misura e mescola, con un candore, quasi disarmante, classico e popolare, aulico e quotidiano, opere uniche e serie riproducibili, segni ricchi di storia affogati nella materia più povera, segni controllatissimi affioranti dallo spazio infinito della creta, vasi gonfiati dalle mani al tornio e segni appena graffiti da un chiodo sulla lastra di una metopa. Quasi a dire: Certo non è questo il tempo per comunicazioni eroiche attraverso Ia scultura eppure “… nell’arte occorre sempre un principio di redenzione. Puo essere alta tragedia, può essere ironia, pietà o I’aspra risata del forte…». Nel caso: Un vaso è già scultura.

\/ien voglia di piantare ben a terra le nostre case, solide e robuste come sassi, somiglianti non a ideogrammi ma ad altre architetture, case che non arrugginiscano e non ostentino la tecnologia, case che non abbiano la pretesa di cambiare I’ambiente esistente ma piuttosto mettano in risalto quello che già c’è, partecipi di un disordine che è solo un ordine che non possiamo vedere, case simboli deÌla propria inalienabile realtà, a partire dai pilastrini del cancello di ingresso alla agognata proprietà. Su cui, nel caso: Un vaso è già architettura.

Massimo Martini
(G.R.A.U.)

 

   

   

  

 

 

foto di Patrizia Nicolosi

 

SAPERI LIMITROFI E INTERFERENTI

Rosato non vuole decidere, abbandonare una traccia o un genere; vuole seguirne l’intero percorso fino ad arricchirla di una splendente tecnica, fino all’epifania di un contenuto che riappare  nelle varie prove, come balenante in più specchi. E viene allora il sospetto che questo caparbio inseguire, indiretto e improprio, le strade della figura attraverso il volto o il panneggio, della superficie del vaso f ino all’irruzione della protome ferina, del rilievo fino al disegno alla linea e all’ornato architettonico, non sia soltanto una personale operazione poetica, ma abbia validità generale, quasi di una tecnlca di conoscenza.

L’operazione sugli interstizi del sapere allora non fa che svelare altri saperi, limitrofi, interferenti, altrettanto importanti e che perciò non possono essere più ignorati a vantaggio di una sola tecnica o disciplina. Ciò è vero non soltanto nella scultura, infatti. Per noi, architetti, suoi compagni di strada, è mutata l’idea di architettura, dall’iniziale ” furor ” geometrico, approdando ben oltre I’edificio o il tema, verso lo strato e la memoria di moltissimi tempi: quando mai, infatti. una facciata è stata solo se stessa? Nonne ha, di continuo [e almeno pri-ma della distruzione semantica lasciata dal Movimento Moderno) riprodotte molte altre, al suo interno, tempio, arco di trionfo, sepolcro?

Forse stiamo operando una sorta di scavo,di globale ricostruzione del sapere spaziale. I metodi sono archeologici, gli esiti ci mostrano l’eguale dignità ed importanza di ogni deposito spaziale, di ogni tecnica e manualità, la loro grande rilevanza umana. Le arti dello spazio ormai non potranno che rappresentare questo mondo rivisto, secondo questa rinnovata visione.

Si potrà tornare d’ora in avanti all’arte della città, che non sarà soltanto architettura di strade, ma scultura di fontane di dislivelli e portali, pittura di pareti e di finestre aperte nell’impenetrabilità della massa, tracciati di figure da ricostruire, visioni che si compongono solo dall’alto ma la cui logica viene presagita al percorrere; memoria e ripresa di antichi tracciati,muraglie e bastioni scomparsi, giardini e orti indimenticabili, botteghe: di metallari, di restauratori, di formatori…

A tutto ciò forse, le materie e le ” storie ” di Enzo Rosato vogliono recare un omaggio.

 Franco Pierluisi
(G.R.A.U.)

 (dal Catalogo della Mostra di E. Rosato * Temple University,- Roma 1983 )